Mela Rosa

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Mela Rosa

Mela rosa

Mela rosa

Malus domestica var. Mela rosa

RISCHIO DI EROSIONE: potenziale

DESCRIZIONE
È un albero rustico, molto adattabile, estremamente longevo e, purtroppo, entra in produzione con molto ritardo, se innestato su proprio piede. Questa ultima particolarità ne ha limitato la diffusione nelle vaste coltivazioni perché il mercato, fino ad oggi, ha richiesto una fruttificazione, la più rapida possibile, per evidenti ragioni commerciali. Però è in atto una rivalutazione della “Mela rosa” in virtù del fatto che essa è resistente alla ticchiolatura e alle più comuni avversità biologiche e quindi non ha bisogno di particolari trattamenti antiparassitari, peculiarità che la rende genuina.

CENNI STORICI
Una mela non bella perché piccola e irregolare ma nutriente, gustosa, sana e genuina. La “Mela rosa”, così chiamata un po’ per via della colorazione che assume quando è matura, un po’ per il profumo di rosa che emana quando è in fiore, è uno dei frutti “antichi” dell’entroterra marchigiano ma, in realtà, è diffusa in tutto l’arco appenninico del centro Italia, nelle regioni di Toscana, Romagna, Marche e Abruzzo. Alla mela “Rosa” viene attribuita origine antica; le mele “Rosa”; infatti, insieme ad altri frutti, sono state raffigurate e accuratamente identificate dalle denominazioni varietali del tempo, dal complesso di tele del Bimbi (olio su tela – XVII/XVIII secolo) ed erano già state citate un secolo prima dal Tanara (1649) e dal Molon (1901). Tra le cultivar note ai tempi dei Medici, si hanno quindi notizie certe anche della mela “Rosa”. Ai tempi nostri Baldini e Sansavini, (1967) scrivono che il nome di “Rosa” è attribuito a diverse cultivar “Rosa gentile”, “di Caldaro”, “Mantovana”, “Marchigiana”(nostrana o Pianella), “Romana”; mentre Bignami e Rosati (1982) precisano che ” ….piante sparse sono presenti in Abruzzo, Marche e Romagna; in queste regioni in molti mercati si rinvengono limitati quantitativi di frutti di diverse “Rose”…..”. Anche in tempi antichi quindi, più di quanto accade ai nostri tempi, esistevano sicuramente nomi che non indicavano una cultivar ben definita bensì cultivar – popolazioni con frutti molto simili tra loro. Questa situazione, cioè della coesistenza di un gruppo di cultivar con lo stesso nome, è esistita anche per la mela “Rosa”, la cui molteplicità di “tipi” era nota fin dai tempi passati.

ZONA TIPICA DI PRODUZIONE
Nelle Marche la mela “Rosa” è diffusa in tutto l’areale collinare pedemontano, con la sua molteplicità di biotipi, che diversificano tra loro per alcuni aspetti comportamentali agronomici e pomologici (piccole modificazioni di forma e grossezza, di colore, di gusto e di serbevolezza del frutto).
Non se ne è perduta la memoria perché è stata coltivata in modo sparso, per soddisfare le esigenze delle famiglie di campagna, essendo una mela dall’ottimo sapore zuccherino, di grandi qualità salutistiche per l’elevato potere antiossidante e dalla lunga conservazione. Viene infatti raccolta in autunno e si conserva fino alla successiva primavera in “fruttai” ricavati all’aperto nei pagliai e nei fienili o, addirittura, riposta in cesti posizionati sulle biforcazioni dei rami degli alberi. Tipica, in esemplari sparsi, anche negli orti e nei giardini, costituiva il tradizionale frutteto familiare. Di recente, in seguito alla rivalutazione, è coltivata anche in impianti specializzati, nella collina pedemontana marchigiana, ma anche in altri areali della media collina.

UTILIZZAZIONE GASTRONOMICA
La “Mela Rosa” è ottima da consumare fresca, specialmente dopo lunga conservazione in luoghi idonei, i tradizionali “fruttai” (all’aperto nei pagliai e nei fienili o, addirittura, riposta in cesti posizionati sulle biforcazioni dei rami degli alberi). La polpa infatti, soda e compatta, con il tempo si ammorbidisce e migliorano le qualità organolettiche (sapore, aroma, ecc..). Invece i frutti conservati in ambiente condizionato, risultano privi di aroma e sono soggetti a riscaldo, disfacimento interno e presentano mediocri caratteristiche organolettiche. Antica popolazione coltivata da sempre sui Monti Sibillini, ha caratterizzato il paesaggio e la tradizione rurale. Anticamente veniva cotta sotto la brace nei camini delle case di campagna, oppure nel forno, ed aveva un gusto particolarmente buono. Si usava come ripieno per confezionare vari tipi di dolci ed era ideale per preparare gustose mostarde che avrebbero accompagnato succulenti piatti di carni grasse. Questo tipo di utilizzazione gastronomica, viene ancora oggi praticata, soprattutto a livello familiare.
La cultivar presenta ampie possibilità di valorizzazione, per il ritrovato interesse da parte dei consumatori legato alle particolari caratteristiche organolettiche ed alla naturalità del prodotto e, da parte dei produttori, soprattutto di determinati areali, per la possibilità di ottenimento di produzioni tipiche conseguite con metodi di coltivazione, rispettosi dell’ambiente e del consumatore.