Merangolo di Ferentillo

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Merangolo di Ferentillo

Merangolo di Ferentillo

Merangolo di Ferentillo

Citrus x aurantium L.

RISCHIO DI EROSIONE Alto

DESCRIZIONE La presenza secolare della specie Arancio amaro o Merangolo nel territorio della Provincia di Terni è attestato da numerosi documenti storici risalenti fino al XIV° secolo. Le particolari condizioni meteoclimatiche di alcune zone della Provincia di Terni hanno permesso non solo la sopravvivenza nel tempo dell’Arancio amaro, ma anche la sua diffusione sul territorio. Molti sono gli usi che si usava fare in passato con i frutti (bruschette, condimenti, dolci, insaccati); una associazione molto forte sembra quella con l’olio e in particolare con i Frantoi. Diverse delle accessioni recuperate sul territorio di riferimento, tra cui quella qui descritta, sono state trovate infatti nelle immediate vicinanze di Frantoi, alcuni dei quali non più attivi. Un’ipotesi è che il succo di merangola fosse usato per stemperare aromi e sapori “forti” dell’olio, un tempo caratterizzato da aspetti qualitativi assai inferiori ad oggi.
Frutti di pezzatura medio piccola (119 g) e forma obvoidale, presentano la base troncata e concava, mentre l’apice è incavato. Buccia di colore arancio, con debole lucentezza e tessitura rugosa. Albedo di colore giallo con moderata aderenza alla polpa. I frutti presentano in media 8 segmenti, tra loro uniformi, con asse centrale pieno.

CENNI STORICI Il più antico riferimento storico ad oggi noto relativo alla presenza di frutti riconducibili a degli agrumi si trova nelle Riformanze della Città di Terni che alla data del 16 novembre 1388 riportano la tassazione di “Mella arance per ciascuna soma quattro soldi ed otto denari”. Di per sé questo dato non dice molto sulla reale presenza di piante sul territorio ma solo della tassazione e quindi dello scambio e commercio di questi frutti che potevano benissimo venire anche da altre zone. D’altro canto è di notevole aiuto per la ricerca il riferimento alla coltivazione degli “aranci” trovato in un manoscritto del 1697 che parla delle abitudini agricole dello Stato di Ferentillo “[…] e presto ve si maturano li frutti e quelli che sono nel centro della Valle di aere più aguzza, calda et humida, anzi hanno un cielo che concorre con quello di Roma e di Napoli, il quale Regno gli stà da Levante, et altri luoghi del mare Mediterraneo, poiche quivi sono aranci, limoni, et altri frutti simili, che amano aere dolce e soave […]”. Altro dato storico fondamentale sulla presenza degli agrumi in antichità nella zona di Ferentillo viene da una tela d’altare del XVII sec. conservata presso la Chiesa di Santa Maria, dove accanto all’Immacolata Concezione vi sono raffigurati tre alberi tra cui una pianta di agrumi (si vedano le immagini riportate nella parte relativa alla documentazione fotografica). Nonostante questi antichi riferimenti storici restano poco chiare le origini e la presenza di questa specie nel comprensorio ternano-amerino. A tal proposito è possibile avanzare solo alcune ipotesi che dovranno però essere suffragate da evidenze riscontrabili nelle fonti per poter essere confermate. Una di queste ipotesi si basa sull’uso della specie botanica Arancio amaro come portainnesto per le varietà a frutto edule come arancio dolce, limone, cedro che a partire dal XV-XVI° secolo cominciano a diffondersi nelle dimore nobiliari sia per far sfoggio di queste rarità (soprattutto in climi dove la loro crescita era fortemente ostacolata) sia per poter disporre di frutti freschi per gli usi culinari. Con lo sviluppo delle “limonaie” e l’uso dell’Arancio amaro come portainnesto (notoriamente più resistente alle basse temperature) queste specie riescono difatti ad insediarsi in ambiti territoriali altrimenti preclusi. Non è difficile immaginare perciò come alcune piante di Arancio amaro si siano potute diffondere attraverso la dispersione di semenzali (fortuita o voluta) trovando poi una “naturale” collocazione nelle località comunque con clima più mite. La presenza di questa specie nel territorio del ternano e dell’amerino infatti è più facilmente spiegabile con due motivazioni: una di carattere biogeografico, l’altra di natura culturale. La prima (come già accennato sopra) permette di dare conto della presenza (e della persistenza) di esemplari di Arancio amaro grazie alle particolari condizioni microclimatiche che caratterizzano parte del territorio di questo specifico comprensorio dell’Umbria. La particolare conformazione delle aree montane, che circondano e proteggono spazi aperti e vallate orientate a meridione, consentono la sopravvivenza di questa come di altre specie termofile (ad esempio il Fico d’India). A questo contribuisce inoltre una maggiore resistenza ai rigori invernali tipica della specie, caratteristica cui si ricorre tuttora quando la si utilizza come portainnesto di altre varietà di agrumi. Tracce di questo possibile percorso che potrebbe aver portato all’affermazione e diffusione sul territorio del Merangolo, viene proprio da diversi documenti scritti di pugno dal Conte Carlo Graziani che a Villa Graziani, nei pressi di Papigno, aveva la sua residenza: “Adi 24 [Agosto 1833] fui in Valle per rifare il muro in fine dello stradone dei Melangoli e slargare lo stradone pochi passi avanti…”. L’altro aspetto di cui si diceva, invece, attiene ad altri caratteri, più specificatamente legati alla sfera antropologica, che spiegherebbero la persistenza della specie in base ad alcuni attributi di pregio riconosciuti dalle popolazioni locali a queste piante ad ai loro frutti. Trattandosi di un frutto dal sapore molto deciso e aspro il suo utilizzo gastronomico è stato associato alla preparazione di alcuni alimenti che in qualche modo dovevano essere “corretti” e bilanciati. Ecco allora il suo utilizzo nella preparazione di insaccati (coppa, mazzafegati, fegatelli) o come ingrediente aggiuntivo alle bruschette. Quest’ultimo elemento lega, almeno nell’area umbra la presenza del Merangolo proprio all’olio. Nel corso delle ricerche condotte sul territorio infatti non poche accessioni sono state trovate proprio in corrispondenza di frantoi, o di luoghi dove in tempi storici sorgevano tali manufatti. Un’ipotesi di questa associazione tra Merangole e frantoi potrebbe essere proprio quella dell’uso di questi frutti per correggere l’olio appena molito, in passato caratterizzato da note organolettiche decisamente diverse dalle attuali. Nella pubblicazione che può essere presa come riferimento per gli aspetti storico antropologici che legano l’Arancio amaro a questa porzione di Umbria, “L’occhio ammira e resta incantato […]” di Dalla Ragione e Maccaglia (2012), sono inoltre riportati diversi altri usi delle Merangole in cucina: tra questi il “cappon magro”, merangole riempite di pane raffermo bagnato con il succo del frutto e fatte cuocere sulla brace, sia nella versione dolce (con zucchero e cannella) sia in quella salata (sale e pepe); oppure l’uso delle Merangole nella preparazione del noto amaro “Viparo” , prodotto tipico del ternano. In ogni caso proprio quest’area ad un certo punto si caratterizza con una vera e propria produzione di Merangole, come confermano le “Statistiche Agrarie del Municipio di Terni” del 1889, dove si fa riferimento a “19.000 frutti di agrume, raccolti annualmente nel periodo 1879-1883 nel Comune di Terni”. Altro aspetto di interesse, quello legato alla presenza di due forme di Merangole, distinte in base al loro gusto. Le fonti orali infatti riconoscono all’interno della popolazione di esemplari di questa specie sparsi sul territorio due distinte tipologie: le cosiddette “brusche”, caratterizzate da un gusto decisamente amaro e quelle dette “di mezzo sapore” con gusto decisamente più dolce (sebbene mai come quello delle arance vere e proprie). Tale circostanza è confermata anche dalle fonti storiche. Costanzo Felici, nella sua opera “Dell’insalata e piante che in qualunque modo vengono per cibo del’homo” del 1565, scrive che: “De queste ancora se ne trovano delle grosse dalla scorza grossissima atte a condire, delle piccole, e de quelle da molto sugo e di quelle da poco sugo, o con dolce o brusco o mezzano sapore”. Come confermato anche da preliminari indagini molecolari condotte su 19 accessioni di Merangole ritrovate sul territorio, un vasto gruppo di queste sono risultate geneticamente similari, mentre un piccolo sottogruppo mostra una certa differenza nel profilo genetico, rispetto ai loci saggiati. Come detto sopra, le diverse tecniche di riproduzione, tra le quali quella per seme, possono aver indotto la comparsa di genotipi nuovi, a tutto vantaggio della biodiversità entro la popolazione.

ZONA TIPICA DI PRODUZIONE L’areale di diffusione di questa specie è piuttosto ampia, comprendendo i Comuni di Ferentillo, Amelia, Narni, Cesi, Otricoli, Calvi dell’Umbria, San Gemini e Terni. Tuttavia si tratta di relativamente poche piante ritrovate in orti e giardini privati, in nessun caso oggetto di coltivazione attiva. L’accessione qui descritta (e iscritta al Registro Regionale) è presente con un unico esemplare nel Comune di Ferentillo presso l’Azienda Frantoio La Drupa. L’ambito locale riconosciuto è quello dei Comuni di Ferentillo, Amelia, Narni, Cesi, Otricoli, Calvi dell’Umbria, San Gemini, Terni.

UTILIZZAZIONE GASTRONOMICA Varietà utilizzata per aromatizzare, con parti del succo e della buccia, altri alimenti (olio di oliva). Tradizionalmente è utilizzata anche per la preparazione di alcuni insaccati, oltre che per condire bruschette ed insaporire altri piatti.


Testi tratti da “Schede Registro Regionale delle risorse genetiche autoctone della Regione Umbria”.

Aziende che custodiscono questa risorsa